CONSOLIDA: L’ASSEMBLEA DEI SOCI

In un momento storico in cui sembra prevalere culturalmente e politicamente l’omologazione e la contrapposizione “a prescindere”, il nostro sistema riesce (ancora) a rispettare le diversità (di storie, di ambiti di lavoro, di territorio) e nel contempo a ricercare gli elementi comuni su cui lavorare e dialogare internamente ed esternamente. È questo lo spirito che ho colto negli interventi di tanti presidenti e direttori delle cooperative sociali che hanno partecipato all’ultima assemblea. Molti si sono concentrati da un lato sugli strumenti per l’inclusione lavorativa e la necessità di un dialogo serrato con l’Agenzia del Lavoro, dall’altro sul presidio competente e concertato dei tavoli di programmazione territoriale provinciali.

Temi diversi che meritano approfondimenti specifici, ma che hanno un elemento fondamentale in comune: il ruolo del consorzio. Occorre che insieme alle cooperative rendiamo di Consolida un laboratorio di pensiero contemporaneo in grado di analizzare le politiche di welfare locali, riconnetterle con i bisogni dei cittadini ed essere nella normalità motore continuo di innovazione. E tutto questo accrescendo la competenza e la capacità di rappresentare di fronte alla classe politica e dirigenziale le letture e le proposte che ne conseguono.

Per fare questo però dobbiamo portare “pensiero” dentro il consorzio, decidere insieme gli oggetti sui cui lavorare e le modalità di rappresentarli. In altre parole, serve un posizionamento chiaro e condiviso sui temi chiave di interesse delle nostre imprese sociali, ma prima di tutto sul nostro ruolo di agenti culturali.

C’è un continuo richiamo – dalle socie al consorzio e viceversa– all’unitarietà   nella rappresentanza, ma è una richiesta che si scontra a volte con gli agiti quotidiani.  Per certi versi è comprensibile: siamo un insieme di tante identità e storie diverse, abituate a presentarsi e rappresentarsi ogni giorno, nella quotidianità, alla pubblica amministrazione e ai nostri committenti, pubblici e privati. Ci rappresentiamo, infatti, ogni qualvolta andiamo a discutere dell’affidamento di un servizio, delle modalità di gestione di un problema sociale o ogni qualvolta che sui territori organizziamo spazi pubblici di confronto. Abbiamo però un elemento forte che ci lega e sono i nostri principi di riferimento. In questo contesto ci muoviamo, impegnati nella scrittura di una nuova narrazione del movimento, non moriremo nella vana e disperata ricerca di una identità monolitica e chiusa, ma apriremo alla molteplicità all’interno di un quadro di riferimento così come la riforma del Terzo Settore sta delineando.

Ed è proprio in questa dimensione che merita una riflessione più ampia la mission consortile e parallelamente il “patto associativo”. Riflessione aperta che può seguire più direttrici: il consorzio come facilitatore di sviluppo delle associate e consorzio come soggetto capace di influenzare le politiche. Sulla prima funzione urge un solido piano strategico industriale che consenta di trovare strumenti per portare oggetti di “produzione” dentro la rete. Penso ad esempio alle modalità di finanziamento dell’inserimento lavorativo e ai tirocini, al cohousing e al cosiddetto “dopo di noi”, al lavoro nelle scuole, Per quanto riguarda le politiche invece, pur convenendo che la rappresentanza va agita su oggetti concreti sono altresì convinta che non possiamo fermarci lì, ma sia necessario collocare questi oggetti all’interno dei nostri valori. Il nostro sistema di welfare è basato sull’accoglienza e sull’inclusione, sull’operare per una società aperta, accogliente, solidale, sostenibile, e non solo per i servizi ai migranti, ma a tutte le persone, deboli e meno deboli.  Detto questo, non c’è dubbio che il decreto Immigrazione ci interroga e ci tocca da vicino anche per le scelte del nostro governo locale. In particolare le posizioni espresse dalla Giunta provinciale non valorizzano le competenze proprie degli operatori delle nostre organizzazioni scambiando educatori per volontari. Ci deve però far riflettere la facilità con cui stanno smantellando il sistema d’accoglienza, che dipende forse anche dalla facilità cui è stato costruito. Da qui in avanti perciò, dobbiamo fare in modo che le politiche, soprattutto queste politiche, siano edificate non come castelli di sabbia ma come roccaforti con basi solide. Credo sia necessario esprimersi, e insieme lo abbiamo fatto e continueremo a farlo, non contro qualcosa o qualcuno, ma proponendo di lavorare insieme per affrontare i fenomeni sociali, compreso quello dell’immigrazione, con serietà e umanità, senza dimenticare la responsabilità di essere imprese che devono far quadrare i conti. Le difficoltà occupazionali generate dalle scelte della politica sull’accoglienza (ma nel sistema in generale non sono le uniche) ci devono anche spingere a cercare all’interno del nostro perimetro se e a quali condizioni possano nascere opportunità e soluzioni intercooperative.

Sul fronte occupazionale siamo anche di fronte ad un rinnovo contrattuale: riconoscendo dignità al lavoro di chi con noi opera nelle cooperative sociali riteniamo adeguato un aumento salariale. Siamo però anche consapevoli che per tante realtà potrebbe non essere sostenibile. Il nostro compito sarà quello di negoziare, insieme ai sindacati, con la pubblica amministrazione affinchè i contratti in essere tengano conto del mutato costo del lavoro.