Cosa fanno le cooperative sociali in carcere? Perché lo fanno e soprattutto cosa bisognerebbe fare di più e meglio?
Sono questi gli interrogativi al centro dell’incontro organizzato il 8 novembre da Consolida all’interno della settimana culturale “Impresa sociale al cubo”, insieme alle cooperative sociali impegnate nella Casa circondariale a Spini di Gardolo con attività produttive diversificate che vanno dal laboratorio di assemblaggio (kaleidoscopio) all’imbottigliamento di detersivi (Chindet), dalla lavanderia (Venature) alla coltivazione di piante (La Sfera) fino alla scannerizzazione di archivi cartacei (Kinè).
“La motivazione – ha raccontato Domenico Zalla della cooperativa sociale Venature – che ci ha portato a entrare in Carcere a partire dal 2006 sta scritta nell’articolo 27 della Costituzione che esprime il principio per cui la pena deve essere riabilitativa. Noi crediamo che la ricostruzione del senso di una vita passi anche attraverso il lavoro. Nel carcere di Trento ci sono persone con bassa scolarizzazione, prevalentemente straniere, con poca o nessuna esperienza lavorativa e spesso con pene di breve durata. Questo significa che spesso dobbiamo insegnare loro a lavorare, ovvero come si sta in un contesto produttivo, e poi una professionalità specifica. Lo possiamo fare grazie alla diversificazione delle attività che richiedono competenze diverse.” Le cooperative hanno dato opportunità di lavoro in questi anni a 1250 persone con tempi di attesa più bassi della media degli altri istituti, come ha sottolineato Tommaso Amadei responsabile dell’area educativa del carcere.
“Questo è possibile – ha sottolineato Alessandro Bezzi di Chindet – grazie alla grande collaborazione che c’è all’interno del carcere con la direzione, gli educatori e la polizia penitenziaria e tutti gli altri soggetti impegnati all’interno (dalle istituzioni alle scuole alle associazioni). Crediamo tuttavia ci siano ulteriori potenzialità di miglioramento: oggi occorre dare continuità fuori ai percorsi che si fanno dentro al carcere, fare da ponte tra carcere e territorio tutto questo in ottica di sostenibilità complessiva”.
Dal tipo di popolazione carceraria è partita anche la riflessione proposta da Claudio Cazzanelli del consorzio nazionale Cgm: “non ci sono più i deliquentoni di una volta, per i quali la criminalità era una scelta di vita; oggi le scelte devianti sono spesso conseguenza di condizioni di fragilità. ci sono stranieri senza fissa dimora, persone con fragilità cognitiva o sociale, e così via. Per questo dovremmo parlare di “detenzione sociale”: il carcere rappresenta spesso per queste persone il primo luogo in cui incontrano scuola, sanità, welfare. E come se il carcere sopperisse ad una mancanza precedente”. Per questo, secondo Cazzanelli, si deve intervenire non pensando al carcere come ad un microcosmo isolato creando ponti con il territorio attraverso azioni di sistema (pubblico – privato sociale – imprese – scuole – associazioni) che permettano di ricorrere più di quanto accade oggi a misure alternative alla detenzione in carcere.
Renata Magnago, direttrice dell’Ufficio inserimento lavorativo, ha ricordato che gli interventi dell’Agenzia del lavoro partono dal riconoscimento della cooperazione come situazione ideale per le condizioni organizzative e le competenze che offre. “Al di là delle misure previste dal Piano delle politiche del lavoro – ha sottolineato Magnago – abbiamo sempre accolto e continueremo a farlo anche altre progetti che consentano di ampliare le opportunità occupazionali in carcere, penso da ultimo al percorso fatto con le cooperative per avviare tra qualche mese la prima attività lavorativa nella sezione femminile.” Anche Ileana Olivo del Dipartimento delle politiche sociali della Provincia autonoma di Trento ha ricordato le azioni fin qui compiute, ma ha aperto anche rispetto al futuro: se da un lato ha espresso la volontà della Provincia di rivedere il patto con il Ministero della Giustizia siglato nel 2012 perché sono cambiate le condizioni, dall’altro occorre che i diversi settori e dipartimenti della Provincia integrino i loro sforzi e le loro competenze specifiche in modo da fare proposta unitaria al carcere che ne facili la gestione e ne potenzi le opportunità.
L’incontro si è concluso con un sostanziale accordo dei partecipanti rispetto alla necessità di ricomporre gli interventi e di guardare soprattutto “al fuori”, alla cosiddetta “detenzione di comunità”.