IL PESO DELL’INCERTEZZA
di Marco Dalla Torre, direttore della cooperativa progetto 92
Testimonianza raccolta da Silva De Vogli
L’ansia è stata certamente l’emozione più forte all’inizio della pandemia e, per certi aspetti, perdura ancora. L’ansia degli operatori generata non tanto dalla paura del contagio, ma dalla chiusura dei servizi: da quelli scolastici a quelli domiciliari, dallo Spazio neutro ai centri e ai servizi genitori – bambini. Un’ansia che cresceva di giorno in giorno a fronte all’incertezza provocata dal continuo prodursi di norme differenti e dalle diverse interpretazioni che gli organi amministrativi ne davano nella rimodulazione servizi. Un’ansia che si accompagnava al senso di impotenza e frustrazione rispetto ai ragazzi e alle famiglie che erano rimaste sole, anche se, dopo un blocco iniziale, gli operatori si sono attivati, anche con mezzi propri e nel silenzio in alcuni casi dei servizi sociali, per riallacciare i contatti a distanza, pur nella consapevolezza che non sono e non possono essere pienamente sostitutivi degli interventi educativi e di sostengo in presenza. Il servizio che ha sofferto di più è stato sicuramente quello scolastico: anche se non si può generalizzare perché dipende da istituto a istituto, questo periodo di emergenza è stato agli occhi degli educatori, che già si sentono operatori di serie b rispetto ad analoghi professionisti, un’ulteriore conferma della disparità di trattamento non solo economico ma anche di relazione rispetto ai colleghi.
Il mio impegno, in questi mesi, come quello delle altre figure direttive, dal presidente ai responsabili di area, è stato quello di sostenere i lavoratori, non solo attivando gli ammortizzatori sociali utili a mantenere almeno in parte il loro reddito, ma anche cercando di gestire e contenere la loro comprensibile ansia. Un lavoro decisamente complesso e impegnativo. Un giorno sono andato dal dentista e dopo un’ora e mezza con la bocca aperta gli ho detto – e non scherzavo – che era stato il momento più rilassante della giornata. Nei servizi residenziali che sono rimasti “aperti”, la situazione è stata diversa: lì si è potuta esprimere pienamente la nostra anima solidale e sociale.
Il timore di contagio era in secondo piano grazie anche dal fatto che ci siamo subito attivati, con l’aiuto di tecnici esperti, per mettere in sicurezza gli operatori e i ragazzi ospitati e tutti hanno collaborato per fare da scudo all’esterno, per collaborare insieme alla tutela sanitaria. Sono stati davvero bravi gli operatori, con cui i ragazzi hanno una forte relazione di fiducia, a spiegare loro utilizzando il linguaggio adatto, la situazione, a raccontare non solo le procedure ma anche il significato di quello che stava accadendo. Grazie alle tecnologie di cui siamo dotati nelle strutture, i ragazzi poi hanno potuto mantenere i rapporti a distanza con le famiglie che con gli amici.
Ora stiamo costruendo gradualmente la ripartenza di tutti i servizi, e non è facile. Stiamo dialogando in modo stretto con gli enti locali e con i sindacati, e mettendo in campo uno sforzo tecnico per definire le nuove procedure necessarie. Stiamo poi contattando gli utenti per cominciare a farli partecipare alle attività accompagnandoli rispetto alle nuove modalità che dovranno necessariamente essere rispettate.
Lavoriamo con i sindacati e le organizzazioni di rappresentanza sul tema lavoro: permane infatti ancora una dose di incertezza rispetto ad alcuni servizi in fase di ripartenza anche se rispetto a quello che so di altre cooperative penso che siamo fortunati. A fronte all’ansia che comprensibilmente ancora resiste, c’è però anche una grande proattività, consapevolezza e responsabilità. Mi sono arrivate proposte da parte dei colleghi di avviare un percorso di riflessione per rileggere insieme questo periodo, per coglierne appieno il significato e l’impatto sul ruolo di chi opera sul campo. C’è voglia di ricominciare a prendersi cura degli altri, ma anche di sé, e di farlo insieme.