Archiviata la stagione dei nostri bilanci, rimane ancora aperta la manovra di assestamento del bilancio provinciale che tocca capitoli che ci riguardano direttamente: natalità, conciliazione, lavoro, bisogni educativi speciali, per fare solo alcuni esempi. E intanto è entrata nel vivo la programmazione e pianificazione dello sviluppo provinciale. È questo il tempo di costruire la visione del Trentino che saremo. Mi riferisco in particolare agli Stati generali della montagna e al Programma di sviluppo provinciale. Documenti che, come sottolinea la Giunta, si pongono e propongono “un cambio di orizzonte, sia nell’impostazione che nel metodo. Un cambiamento … per intervenire in modo coraggioso e lungimirante sugli aspetti funzionali, che non corrispondono più ai bisogni di crescita del Trentino di oggi, e ancor più di quello di domani.”
La Giunta conferma così la discontinuità rispetto al passato con cui si è presentata e ha vinto alle elezioni. Una discontinuità che in sé non è né positiva né negativa. Certo, una precondizione perché sia orientata al miglioramento è che si evitino pregiudizi rispetto a ciò che è stato, ci si apra realmente alla conoscenza di ciò che è, e si adotti un approccio dialogico per la costruzione del futuro. L’altra condizione che non ci si fermi a livello declaratorio, ma si traducano le affermazioni in misure concrete, anche sperimentali, sostenute economicamente e verificate negli impatti generati, di nuovo senza pregiudizi.
Questa discontinuità ci impegna e ci stimola.
Ci impegna perché, come ho ricordato anche in assemblea, dobbiamo rappresentare e far riconoscere il nostro ruolo, non solo i nostri valori ma anche l’impatto che siamo in grado di generare. E questo richiede uno sforzo che non può che essere collettivo per poter essere significativo. Penso ad esempio al lavoro che stiamo facendo con Euricse per la raccolta e l’analisi dei dati con ImpAct, funzionali poi alla rappresentazione sui tavoli istituzionali e per la realizzazione di strumenti efficaci di comunicazione (guarda il video).
La discontinuità, dicevo, ci impegna, ma nel contempo ci provoca.
Dobbiamo, infatti, essere capaci di offrire l’interpretazione di bisogni complessi e in trasformazione, e di proporre interventi e servizi per rispondere a questi bisogni in un’ottica di sostenibilità delle nostre organizzazioni e più in generale del sistema. Per farlo dobbiamo riuscire a guardare le cose in modo diverso, il che significa anche rileggere modelli e strumenti utilizzati (pur con ottimi risultati) fino ad ora.
Una visione globale può essere frutto solo di un’intelligenza collettiva, ovvero di confronto e fiducia.
Il nostro principale valore aggiunto in questo processo di costruzione del futuro è proprio questo: l’incrocio di sguardi, di letture, di idee e di stimoli che permette di non mettere in competizione le fragilità e i territori. Anziani o giovani? Donne, uomini o bambini? Periferie o centro? Disoccupati o lavoratori svantaggiati?
Non posso dire che un approccio individualista sia perdente in termini di fatturato e occupazione per un’organizzazione, ma lo è certamente per la comunità.