di Francesca Gennai, vicepresidente Consolida
La Giunta provinciale con l’ordinanza del 1° giugno ha definito l’orizzonte temporale della riapertura dei servizi alla primissima infanzia: da lunedì 8 nidi e scuole materne potranno accogliere nuovamente i bambini e le loro famiglie. Per farlo devono però rivedere completamente le modalità del servizio. I protocolli sanitari impattano, infatti, sensibilmente sulla gestione organizzativa e sull’impianto pedagogico – educativo. I servizi all’infanzia nel tempo del Covid 19 devono: rivedere al ribasso il rapporto numerico educatore – bambino, standardizzare e ridurre le fasce orarie di frequenza, e questo significa dimezzare, o quasi, la loro capacità ricettiva. E ancora devono lasciare fuori dalla porta i genitori e prevedere l’uso esclusivo degli spazi per piccolissimi gruppi. In altre parole si trovano a dover ripensare i determinanti del loro fare educativo (spazi, tempi, ruolo degli educatori, relazioni fra bambini e con le famiglie), per riconsegnare ai bambini luoghi di educazione, socialità e salute. La posta in gioco però vale lo sforzo.
Da quando la notizia della possibile riapertura ha preso corpo, posizioni diverse hanno alimentato il dibattitto locale. E a ben guardare, tutte hanno la loro parte di ragione.
Ha ragione la Giunta nel ripristinare un servizio di conciliazione centrale nella nostra comunità, richiamando al rispetto di attente misure di sicurezza.
Hanno ragione i sindacati a sottolineare che questa – la sicurezza – è un diritto di tutti, educatori compresi. Hanno ragione le famiglie nel chiedere ai servizi di usare la loro competenza per pensare spazi e modi di stare insieme sicuri per i loro bambini, perché dopo mesi hanno diritto di recuperare “opportunità di crescita, di apprendimento e di socializzazione”, come si legge nell’ordinanza.
Ma anche noi cooperative del settore educativo abbiamo la nostra parte di ragione nell’invitare le amministrazioni comunali ad una co – responsabilità e co – progettazione dei nuovi servizi fondata sulla consapevolezza che a fronte di una ridotta possibilità di accogliere bambini sono necessarie le stesse risorse economiche, se non, in alcuni casi, anche maggiori. È necessario quindi cambiare la modalità di finanziamento dei servizi all’infanzia, non più tarata sul numero di bambini, ma su quello dei gruppi possibili.
Come cooperative sociali siamo pronte ai blocchi della ripartenza anche se non tutti i comuni hanno onorato il pagamento delle fatture dei mesi di lockdown – e ciò nonostante un protocollo di finanza locale chiaro – compromettendo la nostra possibilità di anticipare la cassa integrazione. E questo ha delle implicazioni importanti, su un’altra dimensione fondamentale delle nostre organizzazioni, quella di essere generatrici di opportunità di buon lavoro.
In questa che è la prima crisi che colpisce insieme domanda e offerta dei servizi (come di altri prodotti del resto) è necessario trovare un nuovo punto di incontro e di equilibrio.
Se sull’offerta c’è chiarezza, meno nitida ad oggi è la lettura della domanda: quali sono le aspettative e i nuovi bisogni delle famiglie? Qual è l’implicazione reale in termini di occupazione e potere di acquisto dei servizi educativi? Qual è il valore riconosciuto al servizio e quale la disponibilità a pagarlo?
Ponendoci in posizione di ascolto, nel re – impostare la nuova organizzazione, l’intento è offrire un servizio contemporaneo, orientandolo verso quattro direttrici: territorialità, equilibrio, co – responsabilità e sostenibilità.
È necessario adottare un approccio place based nel re – design dei servizi educativi che devono essere, oggi più che mai, l’espressione della cultura all’infanzia del territorio, il punto di caduta delle esigenze ed aspettative delle famiglie di quella comunità e uno snodo rilevante nel network locale delle proposte per l’apprendimento, la salute e la genitorialità. Sappiamo di doverci muovere in un delicato equilibrio fra l’obiettivo prioritario della sicurezza e quello della socialità perché è all’interno di questo continuum che si gioca la relazione fiduciaria con la famiglia. Questo ricordandoci e ricordando di appartenere all’alveo socio – educativo e non a quello sanitario. Diventa in questo momento prioritario costruire un patto di corresponsabilità educativa con le famiglie e la pubblica amministrazione: tutti devono essere consapevoli che il rischio zero non esiste e che, come ricorda Grossman: “siamo un unico contagioso tessuto umano”. In ultimo il principio della sostenibilità che è economica (a fronte di paletti dati si struttura un’offerta coerente nelle sue possibilità) e sociale e questo implica che il re – design dei servizi dovrà essere coerente con la nuova organizzazione del lavoro, con le abitudini e gli stili di vita che si andranno a sedimentare nei prossimi mesi e la nuova compagine delle relazioni di aiuto all’interno delle famiglie che si andrà configurando anche tenendo conto del fatto che i nonni rappresentano il target più fragile nella nostra comunità.