Non esiste più la famiglia, ma le famiglie al plurale. È questo il quadro demografico emerso oggi a Ossana nel convegno organizzato dal Comune di Pellizzano in collaborazione con la cooperativa La Coccinella e finalizzato a capire come i servizi all’infanzia (nido e scuole d’infanzia) possano rispondere ai nuovi bisogni delle famiglie.
Ad aprire il convegno la demografa Manuela Stranges, dell’Università della Calabria: “oggi ci si sposa meno di un tempo e più tardi, si fanno meno figli; contestualmente aumentano le separazioni e i divorzi e crescono il numero delle famiglie ricostituite in cui convivono figli di rapporti precedenti di entrambi partner della coppia. È inoltre notevolmente cresciuta la monogenitorialità, in prevalenza si tratta di madri separate con figli a carico. A questi dati vanno aggiunti quello del progressivo invecchiamento della popolazione con la diffusione della figura delle “nonne sandwich” che hanno carichi di cura da un lato dei nipoti dall’altro dei genitori anziani.” Siamo quindi ad una seconda trasformazione demografica, analoga a quella che si è verificata nei paesi del nord Europa, con una differenza che in Italia questo cambiamento nella struttura delle famiglie non si è accompagnato a una crescita della natalità.
Secondo Stranges il legislatore non sembra vedere la pluralizzazione delle famiglie, dall’altro la combinazione di denatalità e invecchiamento della popolazione lo ha erroneamente portato a disinvestire sui servizi all’infanzia spostando gran parte delle risorse sulla previdenza e la cura della Terza età. Invece la politica dovrebbe tener conto che la presenza sul territorio dei servizi è da un lato stimolo alla natalità, dall’altro sostiene l’occupazione femminile rispetto alla quale l’Italia è fanalino di coda in Europa.
Non solo, secondo la demografa l’investimento nei servizi all’infanzia è la principale leva per uscire dai circuiti di povertà economica ed educativa che altrimenti blocca la mobilità sociale rendendo quella condizione ereditaria tra generazioni. Questi radicali cambiamenti nella composizione sociale e nelle strutture famigliari, secondo Agnese Infantino, ricercatrice dell’Università Bicocca di Milano, non devono essere “semplicemente” assorbiti dai servizi all’infanzia, ma trasformati in stimolo e motore di innovazione e miglioramento della qualità. In quest’ottica particolarmente rilevante è la prospettiva 0 – 6 anni riconosciuta dalla cosiddetta riforma della buona scuola che l’ha definita come necessaria non solo in termini di momenti e spazi di scambio, ma come vera e propria integrazione dei servizi. Ad oggi la legge è ancora un guscio vuoto che deve essere riempito da regolamenti normativi e amministravi oltreché da armonizzazioni contrattuali tra scuola d’infanzia e nido, ma questo non deve diventare un alibi per un’innovazione pedagogico-educativa portata avanti dagli stessi servizi.
Pensare in maniera unitaria lo 0 – 6 anni, non significa, secondo la professoressa Infantino togliere un po’ didattica dall’una e metterla nell’altro, o ridurre l’attenzione alla cura e alla socializzazione del nido e inserirla nella scuola; significa piuttosto ripensare complessivamente questi servizi in modo unitario. Da dove partire? Secondo Infantino dagli apprendimenti: oggi l’idea di come imparano i bambini è ancora troppo legata alla didattica, agli insegnamenti di contenuti, dobbiamo trovare nuovi modelli di osservazione che riconoscano che si apprende fin dai primi mesi di vita attraverso esperienze significative che aiutano a strutturare l’identità e il modo di stare al mondo e nel mondo.
Francesca Tomaselli, assessora di Pellizzano: “questo lavoro dovrebbe trovare però una cornice normativa che valorizzi la specificità di ambi i servizi senza un ordine “gerarchico” fra i due e che permetta di valorizzare il know how maturato nel tempo. Nel farlo occorre valorizzare quanto in Trentino si è già maturato in termini di esperienza e di pensiero.”